Dioniso ritrovò Ampelo insanguinato nella polvere, ma ancora bello. I Sileni, in circolo, cominciarono il lamento. Ma Dioniso non poteva unirsi a loro. La sua natura non gli consentiva le lagrime. Pensava che non avrebbe potuto seguire Ampelo nell'Ade, perché era immortale: si riprometteva di uccidere con il suo tirso l'intera stirpe dei tori. Eros, che aveva preso l'aspetto di un irsuto Sileno, gli si avvicinò per consolarlo. Gli dise che il pungolo di un amore poteva essere guarito soltanto dal pungolo di un altro amore. Perciò guardasse altrove. Quando un fiore é reciso, il giardiniere ne pianta un altro. Eppure Dioniso ora piangeva, per Ampelo. Era il segno di un evento che avrebbe cambiato la sua natura, e la natura del mondo.
A quel punto le Ore si affrettarono verso la casa di Helios. Si preannunciava una scena nuova sulla ruota celeste. Occorreva consultare le tavole di Armonia, dove la mano primordiale di Fanes aveva inciso nella loro sequenza, gli eventi del mondo. Helios le indicò, affisse a una parete della sua casa. Le Ore guardavano la quarta tavola; c'erano il Leone e la Vergine, e Ganimede con una coppa in mano. Lessero l'immagine: Ampelo sarebbe diventato la vite. Colui che aveva portato il pianto al dio che non piange avrebbe anche portato delizia al mondo. Allora Dioniso si riebbe. Quando l'uva nata dal corpo di Ampelo fu matura, staccó i primi grappoli, li spremette con dolcezza fra le mani, con un gesto che sembrava conoscere da sempre, e si guardò le dita macchiate di rosso. poi le leccó. Pensava: Anche morto, non hai perso il tuo colore rosato. Nessun altro dio, non certo Atena col suo sobrio ulivo, e neppure Demetra col suo pane corroborante, avevano in loro potere qualcosa che si avicinasse a quel liquore. Era appunto ciò che mancava alla vita, che la vita aspettava: l'ebbrezza.
Roberto Calasso
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